Il ritrovamento della collezione indiana Pierre Jeanneret Chandigarh ha permesso al mondo di incontrare il talento creativo di uno dei designer meno noti e al contempo più incisivi del Novecento.
Vita e arte di un genio ignoto: scopriamone di più!
Il tavolo Esprit Nouveau per la Maison La Roche, l’elegantissima Casiers Standard in frassino e l’epifanica chaise longue LC4. Nell’immaginario collettivo la linearità di queste iconiche insegne di stile appare indissolubilmente legata al genio di Charles-Edouard Jeanneret-Gris, meglio noto come monsieur Le Corbusier.
Eppure il maestro di La Chaux-de-Fonds non fu certo lasciato solo nella progettazione dei propri capolavori, anzi. Come opportunamente segnalato nel catalogo Cassina, infatti, altre due firme assistettero l’architetto e designer svizzero nei suoi esperimenti tubolari: Pierre Jeanneret e Charlotte Perriand.
Se il nome della Perriand solletica già la nostra memoria per il divertissement orientale della seduta Indochine e per l’avanguardistica modularità della libreria Nuage, tuttavia, decisamente più oscuro risulta il profilo del Pierre Jeanneret designer.
Cugino dello stesso Le Corbusier e artista a lungo dimenticato, Jeanneret, infatti, rappresenta oggi – a quasi sessant’anni dalla sua scomparsa, avvenuta nel 1967 a Ginevra – un interessante caso di riscoperta autoriale.
Avvicinandosi un poco alla parabola dell’acclamatissima Vivian Maier, la fotografa-bambinaia i cui scatti furono casualmente scoperti in una soffitta dell’Illinois nel 2007, le notizie relative all’operato di questo misconosciuto architetto ginevrino restarono confinate alla quarantennale collaborazione con il più celebre parente sino a una manciata di anni fa, quando alcuni mercanti locali si recarono in visita a Chandigarh.
Qui, fra i porticati degli ampi viali razionalisti e l’impeccabile armonia degli ambienti istituzionali eretti a mo’ di scrigno del tempo, lo sparuto gruppo di commercianti scoprì quello che non è esagerato definire tesoro.
Collocata ai piedi della catena sub-himalayana dei Monti Shivalik, la “casa di Chandi” – dal nome della salvifica divinità celebrata nel distretto di Panchkula – divenne celebre sin dalla sua fondazione, nel 1953, per via della particolarità di un progetto urbano firmato proprio da Le Corbusier.
A dire il vero, tuttavia, il massimo esponente del modernismo non fece che alcune sporadiche visite alla capitale di Punjab e Haryana, offrendo invece ampie libertà di azione e progettazione proprio al fidato cugino Jeanneret, che vi si trasferì per più di un decennio.
Soggiornando in quella che sarebbe presto divenuta una tra le più ricche metropoli dell’India Settentrionale, Pierre contaminò la propria formazione architettonica dando origine a un originalissimo melting pot espressivo, sottolineato dall’accostamento di materiali e tecniche locali – su tutte, il massiccio ricorso all’arte indigena del rattan – e della geometria tipica delle linee europee.
Pierre Jeanneret Chandigarh, Chandigarh Pierre Jeanneret. Un legame tanto intimo da sublimarsi in una stilnovistica corrispondenza d’amorosi sensi perfettamente rispecchiata da alcune tra le più luminose prove di un genio creativo assolutamente fertile.
Ciò che impressiona maggiormente della scoperta effettuata dal fortunato gruppo di commercianti sul finire degli Anni Novanta, infatti, è la prolificità di una produzione capace di svariare dalle sedute concepite per ambienti istituzionali agli arredi per la zona notte.
Sull’intera collezione, troneggia così l’imponente sedia Kangaroo, arredo coloniale che assume le fattezze del tributo al pachidermico elefante indiano, esaltando grazie alla solida struttura in palissandro massiccio le reminiscenze color avorio del vimini intrecciato.
Facendo un ampio uso del bifrontismo – specie nell’arredo destinato a uso pubblico-civico -, inoltre, le opere del periodo indiano di Jeanneret giocano su forme e prospettive, generando così mobili-sculture senza né fronte né retro.
Come nel caso della Libreria Doppia da Biblioteca, realizzata in teak – materia primigenia dell’artigianato locale e particolarmente adatta a sostenere l’abbattimento dei costi di produzione -, o della Scrivania Smontabile Pierre Jeanneret designer; speculando sull’incrocio di linee rette, forme sinuose e angoli smussati, quest’ultima creazione – concepita per il Museo e per il Centro Culturale di Chandigarh – palesa apertamente la scissione del designer ginevrino tra formazione modernista e infatuazione orientale.
Interamenti giocate sulla composizione di forme a X, U e V, gli arredi Pierre Jeanneret Chardigarh non risultano attualmente in produzione per alcun marchio. Le uniche opportunità di acquisto, pertanto, si limitano ai rivenditori di pezzi vintage.
Ecco una rapida Top 5 degli articoli più preziosi dell’intero catalogo Pierre Jeanneret Chandigarh:
5. Poltrona Senat in Tek.
Progettata per essere accolta nel Palazzo del Governo di Chandigarh, la solida struttura in teak di questa straordinaria seduta risulta impreziosita da pelle cavallino color giallo.
4. Dormeuse in Teak.
Prodotto in India tra il 1952 e il 1956, l’eccentrico divano ibrido firmato Jeanneret riutilizza i materiali precedentemente impiegati per la realizzazione della Poltrona Senat optando però per una tappezzeria color verde foresta.
3. Panchina Pubblica.
Tra le sedute concernenti zampe a forma di V, questo splendido esempio di arredo funzionale spicca per la comodità dei sostegni imbottiti e per l’elegante abbinamento tra il bistro del legname e una conciatura del pellame tendente al blu notte.
2 e 1. Scrivania da Biblioteca con Luce e Scaffale per giornali.
Si dividono, infine, il gradino più alto del podio due articoli che – è il caso di dirlo – valgono tanto ora quanto pesano!
L’indubbio fascino dell’elegante scrivania in legno indiano, tuttavia, viene a nostro avviso superato dalla centralità storica assunta del secondo articolo. Ideato per la Libreria Pubblica della città, lo Scaffale per Giornali Pierre Jeanneret Chandigarh – realizzato in teak massiccio e impiallacciato e fornito di 20 ripiani regolabili in alluminio utilizzati per l’esposizione delle riviste – rappresenta, infatti, una testimonianza di assoluto rilievo nel processo di democratizzazione dell’allora neonato stato federale indiano.
Scritto da Marco Colombo per Sag80 Group