Dalla ricerca della felicità di Stefan Sagmeister alla riscoperta del vero Ettore Sottsass
Il MDFF (Milano Design Film Festival) è arrivato quest’anno alla sua quinta edizione, portando nella città di Milano un altro importante evento legato al mondo del design e al suo rapporto con l’arte cinematografica. Rapporto che, se a prima vista può non sembrare dei più diretti, in realtà nasconde moltissimi punti in comune: basti pensare che la maggior parte dei designer dichiara che se avesse dovuto fare un altro lavoro sarebbe stato quello del regista. E qualcuno regista lo è diventato per davvero, come ad esempio il graphic designer austriaco Stefan Sagmeister, con il cui film (The happy film) si è inaugurato il festival, perchè, come dice lo stesso Sagmeister, “fare un film sulla felicità è come fare un film sulla vita” e il Design Film Festival è interamente dedicato alla vita, sia dei grandi maestri del design sia dei prodotti che hanno creato.
Il legame che fa interagire in maniera strettamente connessa queste due arti (cinema e design) è tutto legato al mondo dell’osservazione: sapere osservare le cose da una certa prospettiva, trovare e immaginare inquadrature giuste sugli oggetti, prevedere quali saranno le sensazioni visive su un dato ambiente, sono tutte qualità che accomunano strettamente questi lavori. Come dice alla serata d’inaugurazione Patricia Urquiola, Guest curator dell’edizione 2017 insieme a Alberto Zontone suo collega e compagno (con il quale condivide una grandissima passione per il cinema, che li porta spesso alle 10 e mezza di sera in una sala di proiezione per “allentare lo stress della giornata”), come nel mondo delle riprese cinematografiche così “anche nel mondo del design in qualche modo sei sempre in rapporto agli oggetti e muti attraverso di loro.” A questa edizione la Urquiola e Zontone hanno garantito una ricerca capillare dei film più interessanti riguardanti il design, spesso mai stati proiettati in italia; dice la Guest curator “la scelta di film è ricaduta su film legati a noi in varie maniere: sia per personaggi molto vicini a noi sia per tematiche, soprattutto quella del viaggio che caratterizza le nostre vite”.
Spesso è proprio attraverso i filmati, magari amatoriali, fatti dai designer che si può ricavare un chiaro indice di lettura che dona una nuova prospettiva alla loro intera produzione. È il caso ad esempio di Franco Albini, la cui passione per le riprese è stata brillantemente espressa nel film-documentario Franco Albini: uno sguardo leggero. In questo documentario vengono mostrate delle riprese originali che Albini faceva durante i suoi viaggi: ponti, edifici, ruderi… ogni cosa che lo colpiva veniva immagazzinata dentro una pellicola. Si nota subito, anche senza avere particolari conoscenze di cinematografia, che le sue riprese vengono fatte senza seguire nessuno schema, nessun piano preliminare (cosa che viene sempre fatta anche nelle riprese più amatoriali, sottolinea scherzando la curatrice del film). Questo tipo di filmato è una prova unica che ci dona il modo stesso di guardare del designer: una prova della sua libertà mentale che lo porta dalla visione senza schemi sugli oggetti alla creazione di capolavori.
Così dalle riprese del Golden Gate Bridge, che Albini si divertì a osservare in moltissime prospettive diverse, nasce il progetto della libreria Veliero, recentemente riproposta da Cassina nel 2011 su modello dei suoi disegni originali. La libreria Veliero, unica nel suo genere, gioca su contrapposizioni di vuoti e pieni, aria e luce: le sensazioni che l’osservazione del Golden Gate riportavano nella mente del designer.
Interessante è il punto di vista di Oliviero Toscani, maestro della cinematografia che conobbe Albini, il quale dice che Albini “filmava e fotografava ciò che già conosceva”, infatti non si capisce se le riprese che faceva venivano prima o dopo i suoi disegni, ovvero: o lui riprendeva forme che aveva già disegnato e gli ricordavano i suoi lavori, oppure disegnava ispirandosi alle sue riprese, come dice Olivetti “i grandi artisti rubano, gli altri copiano”.
Disegnare per Albini era tutto, “le cose si scoprono disegnandole” diceva. Spesso disegnava interi blocchi di forme iconiche e tradizionali, dalla perfezione architettonica dei templi greci, alla tradizionale poltrona berger, dalle cui linee nasce la moderna poltrona Fiorenza di Arflex.
Un altro grande amante del disegno e soprattutto dei colori fu Ettore Sottsass, del quale il documentario Il treno di Sottsass ambisce a mostrare il complesso universo creativo del grande maestro del design. Il titolo prende il nome da una citazione dello stesso designer che parlando di sé, dice “la mia vita è una specie treno senza stazioni”, immagine che rende molto bene la vivacità creativa e l’instancabile voglia di lavorare di uno dei designer che hanno più influenzato la modernità. Uno degli elementi più innovativi che caratterizzano la sua intera produzione è l’uso dei colori (basti pensare che creò da zero un catalogo con nuove categorie di colori inedite): un mondo di colori e materiali inediti, una nuova estetica e una nuova etica sono i lasciti che Sottsass dona al mondo del design.
Come racconta lui stesso la passione per i colori gli viene dal mondo della montagna in cui è nato e cresciuto, un mondo fatto di elementi sensoriali molto forti: colori vivaci, odori intensi, esperienze tattili diversificate. Tutti questi sono elementi che Sottsass cerca di riprodurre nei suoi oggetti e che rendono la sua produzione un unicum nel mondo del design.
Proprio la sua rivoluzione del colore è alla base del gruppo Memphis (fondato da Sottsass a Milano l’11 dicembre 1980), un gruppo di una ventina di designer che prendono liberamente ispirazione dall’art Deco, dalla Bauhause e dalla Pop Art. Il periodo legato al progetto Memphis è uno dei più creativi di Sottsass tanto che numerosi oggetti creati in questo periodo sono presenti in musei del design di tutto il mondo e rimarranno per sempre un emblema dell’intera produzione del designer; un esempio per tutti è il celeberrimo mobile Casablanca, conservato al Brooklyn Museum.
Ma, come detto, non solo cambia l’estetica del design moderno, ma per la prima volta introduce un elemento etico nel suo lavoro: Sottsass vuole conoscere ogni persona per cui progetta. Cene, incontri, uscite…deve sapere quali sono le esigenze e la personalità del suo committente; dice “l’architettura deve essere fatta per abitare, per proteggere gli uomini dall’incognito dell’esistenza. Cerco sempre di conoscere le persone per cui progetto, per capire che vestito cucirgli attorno”.
Questo è Ettore Sottsass, un lavoratore accanito, un uomo attento ai bisogno della società e un innovatore senza confine, e anche un uomo estremamente umile se si pensa che nell’ultima intervista rilasciata, ormai vecchio e al termine di una carriera di portata internazionale, dice: “mi dicono che quando sono nato mio padre mi ha messo una matita in mano perchè voleva che diventassi architetto. E forse c’è quasi riuscito”.